È in corso la Fiera 1-54 di Marrakech, una fiera contenuta, ma spumeggiante e in crescita che, già a Londra e New York e una pop art a Parigi, si espanderà a giugno anche ad Art Basel. Alla sua sesta edizione, vanta un discreto numero di vendite e un pubblico internazionale che affolla lo stretto percorso della fiera ospitata nel raffinato hotel boutique la Mamounia, resa famosa dal fatto che nel 1966 si erano installati al loro arrivo in città Yves Saint Laurent e Pierre Bergé mentre la loro casa era in costruzione, e nella location ancora più contenuta di DaDa.
Il titolo della fiera si deve al numero delle nazioni africane: il Marocco è uno dei 54 paesi che compongono il puzzle africano ed è stata voluta dalla fondatrice e direttrice Touria El Glaoui, nipote di Thami El Glaoui, pascià di Marrakech dal 1912 al 1956, con la finalità di espandere la conoscenza dell’arte africana e della diaspora. La fiera è composta da 27 gallerie e 4 progetti speciali, tra le gallerie, due sono italiane: C+N Canepaneri e Primo Marella Gallery. Le gallerie di punta sono senz’altro La Galerie 38 con doppia sede a Casablanca e Marrakech e la Loft Art Gallery anch’essa con doppia sede nelle stesse due città. Quest’ultima veniva introdotta dal dipinto di Mohamed Hamidi (1941) figura chiave della Scuola di Casablanca, dove il modernismo di matrice europea si mescola a tradizioni e forme dell’artigianato e della cultura marocchina. Tutte le opere dello stand rimandano a forme geometriche ed ataviche che sperimentano attraverso diversi materiali, Amina Agueznay con la lana, Bouchra Boudoua con la ceramica, Nassim Azarzar con pittura e grafica pone in rapporto forma e immagini popolari, mentre Samy Snoussi fa esplodere le forme in un brulichio di segni. Invece La Galerie 38 alterna modernismo marocchino all’esplosione di fiori dorati del sudafricano Kendell Geers, che ritroviamo in una bipersonale con Hamidi in galleria durante la notte delle gallerie che ha avuto luogo il 30 di gennaio, intitolata “La conferenza degli uccelli” e accompagnata da un dj set. Accanto invece la collettiva “Enchanters” riprende l’idea dell’incanto rifacendosi a “Les Magiciens de la terre” e al curatore camerunense Simon Njami, direttore artistico delln Biennale di Dakar del 2016 e nel 2018 che aveva scritto del reincantare il mondo.
A Mamounia si distinguevano altre due gallerie: la tunisina Le Violon Bleu per lo scavo nella storia dell’arte figurativa anche di artiste donne nate negli anni 20-30 del ‘900, che si distinguono per delicatezza di forme e di colori e forza di carattere. Mentre un carattere più sperimentale e di ricerca caratterizza la galleria Medina del Mali con degli artisti poliedrici come l’etiope Maheder Haileselassie Tadese (1990) fotografa e artista visiva che esplora memoria, storia collettiva e personale, Kevin Kabambi (1999) si concentra sull’eredità coloniale del Congo con fotografie composite e Willow Evann, fotografo, artista visivo, danzatore che esplora le sue origini ivoriane e il contesto francese in cui vive. Belle le incisioni di ascendenza surrealista dell’artista nigeriana Yadchinma Ukoha Kalu (1995) della Galerie Atiss Dakar, che porta avanti una ricerca di risonanze con il tessuto e un’arte figurativa raffinata.
Tra i progetti speciali al Mamounia, da seguire il Prix Mustaqbal, iniziato nel 2021 dalla Fondazione TGCC for Art and Culture fondata nel 2017 da Mohammed Bouzoubaa, patrono artistico e collezionista. Il premio è rivolto ad artisti marocchini o che vivono in Marocco tra i 18 e i 35 anni. Tra i selezionati le fotografie fantasmiche su carta porosa che esplorano l’identità marocchina in una presentazione impeccabile di Rita Tabit (1995) e le fotografie misteriose, quasi filmiche sugli skaters di Yassine Sellame sono tra le più interessanti.
La sezione DaDa, ancora più contenuta, ospita le gallerie giovani. Mi ha colpito particolarmente la galleria Hunna del Kuwait con le due giovani artiste Amina Yahia (2000) dall’Egitto e Maïssane Alibrahimi (1999) dal Marocco. Entrambe mettono in discussione il ruolo della donna nella società islamica, l’una con grandi quadri sensibili e narrativi, l’altra con sculture e installazioni che reinventano il quotidiano reindirizzandolo verso una visione critica e provocatoria. Da segnalare infine come special project di DaDa, l’Appartament 22, un “artist run space” fresco e sperimentale.